Dietro a questa e ad altre paure che vengono segnalate rispetto alla rivoluzione elettronica c’è spesso un tradizionale sentimento delle elite intellettuali, che di fronte a tutti i fatti che significano socializzazione della cultura o della politica si ritraggono con l’impressione che questo poi finisca per schiacciare la vita dell’individuo, la creatività, l’arte.
Io credo che, in linea generale, bisogna avere un atteggiamento critico verso questi sentimenti che, anche quando non esprimono la volontà di mantenere esclusive certe posizioni di privilegio intellettuale, finiscono per opporsi alla diffusione della cultura.
In genere, l’intellettuale non accetta volentieri i fenomeni di socializzazione e teme spesso, ma sinceramente, in buona fede, che la massificazione possa portare a una caduta di “tono” della civiltà.
Del resto questo nella storia è già accaduto. L’entrata di nuove masse nella storia talvolta ha prodotto davvero la caduta di intere civiltà. In fondo l’Impero Romano non è stato travolto dai barbari che erano appunto «popoli nuovi»? Ma era un fatto ineluttabile.
Non ci si può opporre ad avvenimenti di questo genere schierandosi con il vecchio o cercando di mantenere un carattere chiuso al patrimonio culturale. Perché, portata all’estremo, questa diventa una posizione reazionaria.
I periodi di grandi trasformazioni possono anche comportare, temporaneamente, abbassamenti del livello culturale, della creatività, della creazione artistica, ma, insieme, mettono in campo nuove energie, nuovi intelletti, nuove forze.
Conta in modo decisivo la capacità di orientare e governare questi processi.
Ogni progresso tecnico crea anche nuovi bisogni e nuovi fenomeni di associazione e di solidarietà. Almeno nella prima e nella seconda Rivoluzione industriale così è avvenuto.
Enrico Berlinguer, La Democrazia Elettronica (intervista a Ferdinando Adornato, l’Unità, 18 dicembre 1983). Il documento completo qui